Dress Your oZone e racconta il tuo business

Dress Your oZone e racconta il tuo business

L’abito non fa il monaco ma sicuramente racconta qualcosa. I vestiti che scegliamo servono a comunicare all’esterno la nostra personalità, i nostri valori: se decidiamo di non dargli molta attenzione, trasparirà che per noi l’aspetto esteriore non è una priorità. Lo stesso principio vale per il nostro sito: lo stile, i colori, il font che scegliamo sono parti fondamentali dell’identità del nostro brand, sono funzionali a comunicare la mission e i valori della nostra idea imprenditoriale ai potenziali clienti e/o investitori. Per questa ragione oZone iQ ha tra i suoi componenti anche “Dress it!” che permette di realizzare layout professionali per il proprio sito. Negli ultimi mesi abbiamo provveduto ad aggiornarlo rendendolo più semplice e accessibile e in queste settimane stiamo pubblicando sul nostro canale YouTube dei video di presentazione del nuovo componente “Dress it! 2.0”.

Abbiamo scelto di parlarne adesso non a caso. A giugno assistiamo a una trasformazione generalizzata di loghi, siti web e grafiche che si tingono dei colori dell’arcobaleno universalmente riconosciuti come rappresentativi del movimento LGBTIQ+. Giugno coincide con il Pride Month e in questo periodo ci siamo abituati a vedere la bandiera arcobaleno utilizzata e stilizzata in diversi formati più o meno ovunque, soprattutto da quei brand che hanno fatto dell’inclusione e della diversità il loro tratto distintivo. Ma perché proprio questi colori?

Nel 1978 l’idea di realizzare una bandiera rappresentativa del movimento LGBTIQ+ fu dell’artista Gilbert Baker, apertamente dichiaratosi gay nonché drag queen. Una bandiera era, secondo Baker, un simbolo di orgoglio e, come dichiarò in un’intervista, il miglior modo per dire: “Io sono così!”. La scelta dell’arcobaleno era un chiaro richiamo alla natura e ogni colore aveva un suo significato ben preciso: il rosso per la vita, l’arancione per la cura, il giallo per il sole, il verde per la natura, l’indaco – poi diventato blu – per l’armonia, il viola per lo spirito e inizialmente c’erano anche il rosa shocking per il sesso e il turchese per l’arte ma sono stati eliminati a causa di problemi di tecnici. Il tutto era una rappresentazione della diversità e dell’unità che caratterizzavano movimento allora e oggi.

Il che ci ricorda non solo l’importanza di scegliere il giusto “abito” ma anche di come debba essere facilmente e velocemente modificabile e personalizzabile. Ricorrenze come quelle del Pride o della Giornata mondiale della Terra ne sono l’esempio più lampante. L’Earth Day, nato dall’attivismo del senatore del Wisconsin, Gaylord Nelson, nel 1970 è comunemente associato con il verde. Intorno al 22 aprile assistiamo a una virata generale delle grafiche verso questo colore, ma può essere una scelta frutto della semplificazione piuttosto che di un reale approfondimento della causa ambientalista e può essere anche sinonimo di greenwashing. Ufficialmente i colori dell’Earth Day sono il verde e il blu: se il primo è il colore che riflette la clorofilla, il secondo è il colore della Terra vista dallo spazio.

La scelta del colore non è solo una questione di trend o una dichiarazione di intenti, ma è un chiaro modo per comunicare ai nostri utenti quali sono i nostri valori e su quali argomenti vogliamo focalizzare l’azione e il dibattito. Nella comunicazione non sempre bastano le parole, ma serve anche una presa di posizione visiva per dare l’idea della parte che abbiamo scelto. Così anche la selezione del font influirà sull’immagine che vogliamo costruire. Per esempio, dei font puliti, sans serif o che contengano elementi naturali possono aiutarci a veicolare meglio il nostro messaggio. Tornado al Pride, invece, in onore di Baker è stato creato un font sans serif, chiamato Gilbert, che condensa i colori della bandiera ed è disponibile in open source su Adobe.

L’utente si ferma a leggere solo dopo che il suo interesse è stato catturato tramite l’immagine o il video. In questo senso abbiamo cercato di lavorare su Dress it!, tra le nuove funzionalità c’è la possibilità di importare i font direttamente da Adobe o da Google. Inoltre, il componente permette ora di scrivere un codice CSS come lo scriverebbe uno sviluppatore, dando la possibilità di monitorare in ogni momento come si trasforma la nostra “Zona”. Volevamo andare incontro ai designer come agli sviluppatori, facendo risparmiare tempo nello sviluppo di un sito e permettendo contemporaneamente il mantenimento di un controllo totale sulla qualità del codice delle pagine.

Rendere più accessibile la componente grafica del sito non vuol dire che l’identità del brand debba essere mutevole, anzi il contrario. Per quanto mission, principi e valori ne siano caratteri distintivi, la rappresentazione deve mantenere un certo grado di flessibilità. Se è vero che generalmente un sito va ridisegnato ogni 2-3 anni, nell’era del consumismo gli utenti tendono ad annoiarsi ed essere capaci di apportare dei piccoli cambi di look di tanto in tanto può essere strategico. A tal fine, “Dress it! 2.0” presenta anche una nuova gamma di blocchi tra i quali scegliere per costruire le pagine del proprio sito. I blocchi non solo facilitano la costruzione della pagina, ma permettono di darle un aspetto ordinato ed equilibrato in modo da portare l’attenzione dell’utente sul punto che più ci interessa.

Il tuo sito è direttamente collegato alla visione che hai del tuo business. Non si tratta di un’isola nell’oceano, è piuttosto una piccola bottega in una metropoli dove ce ne sono milioni. L’abito che decidi di fargli indossare è fondamentale perché fornirà ai tuoi visitatori il primo racconto della tua idea. È importante che ne racconti la storia, i cambiamenti, le vittorie e le sconfitte; non può essere qualcosa di statico ma deve evolversi insieme alla tua impresa in modo da poterne rappresentare l’unicità e gridare al mondo: “Io sono così!”.

I video pubblicati sul canale di oZone iQ su YouTube

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Photo by Robin Ooode on Unsplash

Pubblicato il 01/06/2022 alle ore 13:24

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